Protagonista della presentazione di Capalbio Libri di ieri sera, giovedì 4 agosto alle ore 19:30, è stato Monsignor Vincenzo Paglia con il suo saggio “L’età da inventare. La vecchiaia fra memoria ed eternità” edito da Piemme. Hanno condiviso con lui il palcoscenico dell’Anfiteatro del Leccio Sebastiano Maffettone, Andrée Ruth Shammah e Francesca Nocerino. Letture a cura della presentatrice della manifestazione Marta Mondelli.

La presentazione si è tenuta nell’ambito del format Capalbio Talks, uno spazio pensato per condividere temi di grande attualità con esperti e protagonisti, un format pensato per discutere e conoscere quello che ci appassiona.
In questa occasione si è parlato di vecchiaia, una dimensione relativamente nuova nella nostra società e che, in mancanza di modelli, richiede delle riflessioni per “inventarla” e permettere agli anziani di viverla al meglio.
Afferma infatti Monsignor Vincenzo Paglia nel suo libro: «Noi dobbiamo oggi “inventare” la vecchiaia. Qual è il senso umano, sociale e spirituale di questo “nuovo” tempo della vita?»

Ma cos’è la vecchiaia?
Per alcuni è rassegnato passaggio verso anni di decadimento fisico, inoperosità forzata e solitudine. Per altri una lontana minaccia da sfuggire con l’aiuto di pratiche salutistiche e attività appaganti. Comunque la si viva, la vecchiaia spesso fa paura o porta con sé la malinconia del tramonto. Eppure è diventata un tempo importante dell’esistenza, ben più lungo di quanto era fino a pochi decenni fa, e si presenta, in mancanza di modelli, come un’età da inventare.
Monsignor Vincenzo Paglia, che da anni studia e si occupa delle esperienze e dei bisogni delle persone anziane, propone in queste pagine una visione penetrante e innovativa della vecchiaia. Un periodo libero dalla tirannia della produttività e disponibile per edificare legami, momenti di ascolto delle proprie domande e di quelle degli altri.

Anni scanditi non più dal calendario degli impegni ma dal tempo degli affetti, della riflessione, del contributo offerto alla comunità. I vecchi insegnano la bellezza di trasmettere e prendersi cura della vita e quando, col corpo indebolito e la mente confusa, diventano faticosi e difficili da amare, ci ricordano che la fragilità è una condizione comune a tutti e l’autosufficienza una sciocca illusione.
Questa consapevolezza della dipendenza come radicale bisogno umano è il grande dono della vecchiaia alle generazioni più giovani. Ed è, al tempo stesso, l’orizzonte spirituale che permette di dare senso al ciclo della vita, di proiettare le proprie speranze nel futuro di cui si sono gettati i semi e, infine, di sentire la vecchiaia stessa come un compimento, una destinazione verso l’Eterno.


